L’avvocato Gianluigi Guida è un avvocato di origini molisane, abilitato ad esercitare la professione forense sia in Italia che negli Stati Uniti d’America, che ha incentrato i suoi studi e la sua formazione nel campo del diritto commerciale, internazionale, e delle nuove tecnologie. Spiega ai nostri lettori come anche il Molise, con le sue startup, può avere un ruolo nello sviluppo di nuovi progetti.
Avvocato, grazie per questa possibilità accordataci. Lei è da poco tornato dagli Stati Uniti, dove ha ottenuto la specializzazione in Global Business Law presso la University of Washington ed ha superato l’esame da avvocato americano. Come descriverebbe la sua esperienza?
Grazie a Lei. In due parole: stressante e stimolante. Potrei indicarne altre, ma credo che queste rendano al meglio l’idea. Il metodo di studi americano è molto differente rispetto al nostro; le classi, ad esempio, sono costruite in modo da rendere l’esperienza universitaria molto più personale ed individuale. Si viene “interrogati” quotidianamente e non ci si può permettere di rinviare lo studio di alcune pagine al giorno dopo. L’esame da avvocato poi, è sicuramente più intenso rispetto al nostro, sia per il materiale da studiare che per le modalità con cui l’esame si svolge. Bisogna prepararsi fisicamente, oltre che mentalmente. A fronte di tali stress, però, gli orizzonti mentali che una buona università americana può aprire sono certamente ampi; ciò stimola l’apprendimento e la nascita di nuove idee nelle menti degli studenti. Anche gli input che provengono dai colleghi di studi e dai professori, inoltre, aiutano decisamente l’apprendimento.
Di cosa si sta occupando in questo momento?
Prevalentemente assistenza legale in favore di startup e di società negli accordi internazionali. La mia doppia abilitazione permette al cliente di evitare spreco di risorse per consulenti esteri. Ciò è particolarmente evidente nel mondo delle startup, dove le risorse iniziali non sono mai sufficienti.
Di recente è stato pubblicato sul Sole 24 ore un articolo che Lei ha scritto sulla nuova tecnologia del Fintech. Potrebbe spiegarci di cosa si tratta?
Con la parola Fintech (diminutivo di Financial Technology) ci si riferisce all’uso delle nuove tecnologie nella finanza. L’app che usiamo sul nostro cellulare per compiere un bonifico bancario è un esempio di Fintech, come lo è anche un algoritmo matematico in grado di prevedere l’andamento di indici azionari. Negli ultimi anni il Fintech sta attirando sempre più l’attenzione di giovani menti, le quali spesso compensano la carenza di esperienza nel mondo imprenditoriale con idee geniali ed un forte entusiasmo.
Come entra in gioco il diritto in una tecnologia che si occupa di finanza?
Come in molti altri campi, anche nel Fintech l’entusiasmo e le idee devono fare i conti con le norme giuridiche, spesso sottovalutate o di difficile comprensione. Dinanzi a quel muro di norme, alcuni si rimboccano le maniche e, con il giusto supporto, procedono con determinazione nella realizzazione delle loro idee; altri, a causa della tecnicità giuridica delle norme, abbandonano la propria idea, generando, così, una perdita–in termini di mancato sviluppo–per il sistema finanziario e lavorativo nel suo complesso. Il rispetto delle norme è importante per la sopravvivenza della startup, ma tale rispetto (c.d. compliance) non sempre è agevole, e lo è ancora di meno se si considera la grande varietà di norme che ogni Stato adotta per regolare i diversi ambiti nel quale il Fintech può operare.
Quanto è importante, dunque, per le giovani menti il ruolo del consulente legale nella realizzazione di queste idee innovative?
Alcuni giorni fa ero a cena con due di queste giovani menti per valutare l’opportunità di supportarle nella realizzazione della loro idea. Io: “Quindi avete costituito una società?” Loro: “Sì.” Io: “Bene, bene. Startup Innovativa?” Loro: “Sì, S.r.l.” Io: “Ottimo. Quanti soci siete e che ruoli avete?” Loro: “Abbiamo diviso le quote tra 5 soci; ognuno crea e progetta una parte del sistema che, nell’insieme, offre questo servizio innovativo per cui…[descrizione del servizio].” Io: “Magnifico. Essendo 5 soci immagino che abbiate già regolato i rapporti di proprietà intellettuale tra voi e la startup, giusto?” Loro: “… [silenzio].” Io: “Non li avete regolati?!” Loro: “No. Non ne sappiamo nulla. A cosa serve?”
Episodi come questo non sono per nulla infrequenti. Capita che i soci, del tutto immersi nella realizzazione delle loro idee, trascurino elementi di determinante importanza per il corretto funzionamento della startup e per la tutela del patrimonio della stessa, il più delle volte a causa di incolpevole ignoranza (ad ognuno il proprio lavoro!) delle norme giuridiche.
Il linguaggio “legalese” non piace a tutti, è risaputo; tuttavia una startup dovrà affrontare questioni giuridiche ed essere in compliance con specifiche norme se intende produrre utili. E’ importante che la startup sin dall’inizio abbia solide basi su cui fondarsi perché, prima o poi, i nodi di una gestione non ottimale verranno al pettine.
Ma quanto è complicato questo quadro normativo?
Le startup e le società di nuove tecnologie operano in un quadro normativo molto complesso, con diverse “aree grigie” nelle quali vi può essere incertezza sulla applicabilità o meno di una norma. Il Fintech, ad esempio, è un mix di finanza, tecnologia, norme di nuova generazione relative a startup e longeve norme bancarie, norme societarie e civilistiche, passando per tutela della proprietà intellettuale, equity crowdfunding, Initial Crypto Offerings e cryptocurrencies (ad esempio Bitcoin), sistemi di pagamento, peer to peer lending ed algoritmi di prevedibilità di indici azionari. Affascinante ma complesso.
La complessità è ancora più evidente se si estende lo sguardo oltre l’orizzonte dei nostri confini nazionali: l’utilizzo di internet, difatti, fa sì che gli effetti di una app o di un nuovo sistema di pagamento possano travalicare bordi geografici per fornire servizi a soggetti residenti in Stati esteri. Tale circostanza, in ambito giuridico, spesso determina la necessità per quel nuovo servizio di rispettare le norme di quel particolare Stato estero. E quindi, in aggiunta alle norme italiane, la startup dovrà fronteggiare la normativa specifica e gli enti regolatori di ogni Stato nel quale opererà.
Le Startup in Molise possono prendere parte a questa evoluzione tecnologica?
Certamente. Il Molise non è carente di menti brillanti. Molte purtroppo sono state costrette a lasciare la loro terra, ma altre hanno deciso con caparbietà di restare. Oggi è possibile costituire una startup, gestirla e lavorare con i vari team da remoto, teoricamente senza incontrarsi di persona neanche una volta. Ciò che sicuramente conta è l’impegno, una giusta allocazione di risorse, consulenti pragmatici, ed una buona rete di contatti. E’, ovviamente, necessario che anche le istituzioni facciano la loro parte.
Per concludere, cosa crede sia importante per incentivare le startup?
Le startup di oggi giocano un ruolo fondamentale nella rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo: esse hanno l’onore e l’onere di innovare. Per far ciò, è necessario che la startup non inciampi in norme che possano frenarla o addirittura bloccarla nello sviluppo del suo progetto. La compliance è sicuramente importante, come lo è un insieme di norme semplificate che trasmetta la giusta fiducia alle nostre menti brillanti. Incentivare le startup è imprescindibile se si vogliono ottenere effetti positivi sul mondo dell’imprenditoria giovanile, sull’innovazione, sullo sviluppo del Paese e del sistema lavoro, nonché sulla competitività a livello internazionale.